Nella cultura africana, il turbante è simbolo di forza, bellezza e fierezza. Qualità a cui può non rinunciare la donna che a causa del tumore, ha perso i suoi capelli. Per le donne indiane i capelli hanno un valore religioso e metaforico forte, una valenza comunicativa e sessuale. Al “Progetto Turbanti”, il laboratorio di preparazione di copricapo africani tradizionali che si svolge all’interno del Day Hospital oncologico del Santa Maria Annunziata, partecipano donne, italiane soprattutto, lontane geograficamente e culturalmente. Donne calve per via della chemioterapia, che soffrono ma che stanno combattendo la stessa battaglia, pagando il prezzo della rinuncia a una parte simbolicamente importante per una donna come i capelli.
Domani ricorre l’appuntamento estivo, il secondo dei quattro appuntamenti fissi annuali. Il laboratorio di preparazione dei turbanti è condotto da un gruppo di donne dell’Africa subsahariana che provengono dal laboratorio di sartoria sociale Bazin. Incontreranno un gruppo di 5-6 donne senza capelli e porteranno la loro esperienza all’interno del DH oncologico, insegnando loro a preparare e indossare il turbante, con o senza parrucca, con qualche consiglio anche sugli abbinamenti.
Il progetto nasce dalla struttura di psiconcologia della Ausl Toscana centro di cui è direttore Lucia Caligiani. E’ partito circa due anni fa dall’interno del Day Hospital oncologico dell’ospedale Santa Maria Annunziata e rientra nell’ambito della riabilitazione psiconcologica del Dipartimento oncologico della Ausl Toscana centro diretto da Luisa Fioretto. Il progetto poi è proseguito con la collaborazione con Avo Firenze Odv (Associazione Volontari Ospedalieri) che finanzia il progetto “Diversamente belle” condotto insieme al Dipartimento Oncologico della Ausl di cui l’attività dedicata ai turbanti fa parte.
“C’è tutto in questo progetto – sottolinea Caligiani – la contaminazione culturale attraverso le usanze tradizionali e l’integrazione sociale tra donne straniere e italiane. L’idea dello straniero che ‘colonizza’, che entra nel Day Hospital del Santa Maria Annunziata e porta la sua tradizione. I nostri spazi diventano così terra d’incontro di relazioni e narrazioni. E anche di riconoscibilità: donne migranti e donne malate si riconoscono nello stesso viaggio quello che per implicazioni intime e trasformative, cambia per sempre il mondo interno di chi lo vive”.
Il “Progetto Turbanti” è molto più che un esempio di medicina narrativa dove la narrazione delle esperienze di malattia assume un ruolo fondamentale per la rielaborazione del trauma. Con questo progetto le donne africane, riluttanti nel sottoporsi agli screening o poco aderenti alle terapie oncologiche come molti dei migranti, imparano da altre donne che l’ospedale, identificato o come luogo salvifico o come luogo di morte (spesso vi arrivano quando è troppo tardi), può essere anche luogo di accesso alla prevenzione e alle cure oncologiche.