“Abbiamo visto il video di QuiAntella e abbiamo deciso che l’unica soluzione è murare la porta. Dispiace dover chiudere in questo modo la chiesa ma non c’è altro rimedio per proteggere San Lorenzo a Montisoni”: c’è amarezza nelle parole di don Giuliano Landini, presidentte dell’Istututo per il sostentamento del clero che è proprietario di Montisoni.
La denuncia dello stato di abbandono dell’immobile, con relativi rischi di furti e vandalismi (vedi articolo e video), non è caduta nel vuoto. “Molte volte qualcuno ha sfondato la porta e l’abbiamo dovuta richiuedere, ma visto che il problema persiste, nei prossimi giorni provvederemo a murare l’entrata con mattoni – continua don Landini – Dobbiamo tutelare la chiesa e la parte di affresco che vi è conservato”.
Più incerto il futuro di Montisoni. In passato destinato a casa vacanze per le parrocchie, quando queste avevano più mezzi ed erano più operative, è stato anche sede di una comunità di recupero legata a don Gelmini. “Avevamo iniziato i lavori di restauro anni fa dietro richiesta delle parrrocchie dell’Antella e dell’Isolotto – dice don Landini – Abbiamo speso parecchi soldi. In questi anni abbiamo anche cercato di portarci qualche comunità religiosa, ma non abbiamo trovato nessuno disposto a trasferirsi lassù”.
Ora l’Istituto per il sostentamento del clero sta pensando alla vendita dell’immobile. “Non è facile trovare un acquirente – ammette don Landini – C’è il problema dell’accesso, ora c’è pure la strada franata. Se il Comune la sistema, come previsto, può diventare più appetibile”. Un compratore privato cosa potrebbe farci a Montisoni? “Una super villa oppure un uso ricettivo, dipende anche dalle valutazioni del Comune – conclude don Landini – Noi siamo disponibili anche per un progetto sociale, se qualcuno ha un’idea si faccia avanti”.
L’affresco del Crocifisso e il Decamerone di Boccaccio
Nel settembre del 2013, durante i lavori nella chiesa di San Lorenzo a Montisoni, come ricorda lo storico locale Silvano Guerrini, il particolare del Crocifisso fu messo in luce dal restauratore Ezio Breghi Mencagli. La chiesa di Montisoni risulta ricostruita nel 1335 (Archivio Storico Arcivescovile della Diocesi di Firenze, Libro contratti, c. 265r citato in Carlo Celso Calzolai, La Chiesa fiorentina, 1970) e il dipinto fu attribuito alla scuola di Cimabue dal funzionario della Soprintendenza.
Se si considera che il Decamerone del Boccaccio è stato scritto fra il 1349 e il 1353 l’opera venuta in luce potrebbe essere davvero quella Croce, sulla quale si poteva giurare, da lui citata nella sua opera e realizzata probabilmente pochi anni prina in occasione della ricostruzione della chiesa di Montisoni.
Questo il testo integrale della novella del Decamerone (9a novella, 8a giornata) dove viene citata la “croce del monastero di Montesone”
Dopo che le donne ebbero commentato il mettere in comune le mogli, fatto dai due senesi, la regina, che sola doveva narrare prima di Dioneo, incominciò dicendo che Spinelloccio aveva tratto un buon guadagno dalla beffa fattagli dal Zeppa. Ella intendeva parlare di uno che se l’andò a cercare e riteneva che quelli che lo beffarono fossero più da elogiare che da biasimare.
La beffa fu fatta ad un medico che tornò a Firenze da Bologna; essendo una bestia, tornò tutto coperto da pelli di scoiattolo (un pellicione).
Come accadeva ancora ai loro tempi, i cittadini di Firenze andavano all’Università di Bologna e ritornavano chi giudice, chi medico e chi notaio, con abiti lunghi, larghi, scarlatti, con pellicce, di grande apparenza.
Tra questi, non molto tempo prima, un maestro ,Simone da Villa, più ricco di beni paterni che di intelligenza, ritornò vestito di scarlatto, con un gran cappuccio, dottore in medicina, come egli stesso diceva, e prese casa in quella che era chiamata via del Cocomero.
Il maestro Simone aveva l’abitudine di chiedere a chi l’accompagnava notizie su tutti gli uomini che passavano davanti a lui. Tra questi volse l’attenzione su due pittori di cui si era già parlato nelle giornate precedenti: Bruno e Buffalmacco, che stavano sempre insieme ed erano suoi vicini. Gli sembrava che essi non si curassero degli altri e vivessero più lieti.
Chiese ,allora, informazioni su di loro. Gli venne riferito che erano poveri uomini e pittori.
Si convinse che, essendo uomini astuti, dovevano trarre grandissimi profitti da qualche cosa non conosciuta da nessuno, perché non era possibile vivere così lietamente nella povertà.
Gli venne, dunque, il desiderio di diventare amico di entrambi o almeno di uno dei due.
Ebbe l’opportunità di diventare amico di Bruno che, dopo poche volte che era stato con lui, comprese che era un animale e cominciò a divertirsi alle sue stupidate.
Il medico ebbe gran piacere di quella amicizia , lo invitò alcune volte a pranzo e, credendo di essergli diventato amico, gli disse che si meravigliava che egli e Buffalmacco ,pur essendo poveri, vivessero lietamente e lo pregò di insegnargli come facessero.
A Bruno la domanda del medico sembrò sciocca, come tutte le cose che quello diceva; cominciò a ridere , pensò di rispondergli come conveniva alla sua stupidità e disse “ Maestro,posso dirlo solo a voi perché mi siete amico e a nessun altro. E’ vero che io e il mio amico viviamo il più lietamente possibile, né ricaviamo alcun profitto dalla nostra arte, e da ciò che traiamo da alcuni nostri possedimenti non potremmo ricavare neanche l’acqua che consumiamo. Neppure voglio dire che andiamo a rubare, ma noi andiamo in corso, da ciò ricaviamo tutto ciò che ci dà diletto e ciò di cui abbiamo bisogno, senza danneggiare nessuno. Da questo viene il nostro vivere lieto, che voi vedete”.
Il medico, incuriosito, credendo alle parole di Bruno, fu preso da un grandissimo desiderio di sapere che cosa fosse l’andare in corso e promise che non l’avrebbe detto a nessuno.
Bruno disse “ Oimè, maestro, che cosa mi chiedete ? E’ un segreto troppo grande, se altri lo sapessero, io potrei morire, essere cacciato dal mondo e finire nella bocca del lucifero del San Gallo. Ma, per l’amore che porto alla vostra credulità, come un melone da Legnaia, e alla fiducia che ho in voi, non posso negarvi nulla. Ve lo dirò, a patto che mi giuriate sulla croce del monastero di Montesone che non lo direte mai a nessuno”.
Il maestro promise.
Disse Bruno “ Mio dolce maestro, dovete sapere che , non molto tempo fa, visse in questa città un gran maestro di negromazia, di nome Michele Scotto, perché proveniva dalla Scozia, e ricevette grandi onori da molti gentiluomini, di cui pochi sono ancora vivi. Egli decise di partire, ma, su loro richiesta, lasciò a Firenze due discepoli molto esperti, ai quali ordinò di fare tutti ciò che i gentiluomini fiorentini avessero chiesto.
Costoro facevano per loro certi incantesimi per gli innamoramenti ed altre cosette.
Poi, trovandosi bene in città, decisero di volervi rimanere per sempre.
Per questo strinsero grandi amicizie con alcuni che avevano costumi simili a loro, senza guardare se fossero nobili o non nobili, ricchi o poveri. Per compiacere questi amici formarono una brigata di circa venticinque uomini, i quali si dovevano incontrare almeno due volte al mese, in un luogo prestabilto. Stando lì, ognuno esprimeva un desiderio ed essi lo esaudivano rapidamente nella notte.
Essendo molto amici di due di loro, Buffalmacco ed io fummo introdotti in tale brigata e ci siamo tuttora.
E vi posso dire che quando ci incontriamo è una cosa meravigliosa vedere i tendaggi della sala dove mangiamo e le tavole regalmente apparecchiate e la grande quantità di servitori, sia maschi che femmine, pronti ad obbedire, e le brocche, i fiaschi, le coppe e tutto l’altro vasellame d’oro e d’argento, in cui mangiamo e beviamo. Non vi dico le bevande sopraffine che ci vengono servite e le musiche e i canti che si odono e la cera che si arde e i dolciumi e i vini pregiati che si consumano. E, mio caro zuccone, non dovete credere che noi siamo vestiti con questi abiti, ma ognuno è vestito in maniera così raffinata che pare un imperatore.
Ma sopra tutti i piaceri vi è quello delle belle donne, le quali, come un uomo vuole, sono condotte lì da tutto il mondo. Potreste vedere lì la donna dei barbanicchi, la regina dei baschi, la moglie del sultano, l’imperatrice d’Osbech, la ciancianfera di Norrueca, la semistante di Berlinzone e la scalpedera di Narsia. E che vi sto elencando, vi sono tutte le regine del mondo, fino alla schinchimurra del Prete Giovanni .Vedi un po’ che cosa straordinaria.
Dopo che hanno bevuto e mangiato dolciumi, fatte una o due danze, ciascuna se ne va nella sua camera, con colui che l’ha richiesta. E quelle camere sono così belle che sembrano un paradiso, profumate di spezie più della vostra bottega. E i letti dove vanno a riposare sono più belli di quelli del doge di Venezia.
Vi lascio immaginare come tessono bene le loro trame.
Tra quelli che stanno meglio ci siamo io e Buffalmacco, perché egli fa venire spesso per sé la regina di Francia, ed io per me quella d’Inghilterra, che sono le donne più belle del mondo. E abbiamo saputo fare così bene che hanno occhi soltanto per noi. Potete pensare come dobbiamo essere lieti noi che abbiamo l’amore di due regine. Qesta cosa noi la chiamiamo volgarmente andare in corso, perché noi facciamo come i corsari, che prendono la roba di ogni uomo. Ma siamo differenti da loro in quanto essi non la restituiscono, mentre noi la restituiamo dopo che l’abbiamo adoperata.
Ora ,mio caro maestro, avete ben capito cosa significa andare in corso ed anche perché ciò che vi dico deve rimanere segreto”.
Il maestro che era tanto ignorante che sapeva medicare solo i fanciulli con la crosta lattea, credette a tutto ciò che Bruno aveva detto e gli venne il desiderio fortissimo di entrare a far parte di quella brigata.
A Bruno, dunque, rispose che non c’era da meravigliarsi se erano così lieti e si ripromise di chiedergli di farlo entrare nella brigata, dopo aver aumentato l’amicizia.
Cominciò, quindi, ad invitarlo a casa sua ,a pranzo e a cena, di sera e di mattina ,e a mostrargli grande amore. Tanta era la loro familiarità che sembrava che il maestro non potesse ,né sapesse vivere senza Bruno.
Bruno, per non sembrare ingrato, aveva dipinto nella sala del medico un’immagine della Quaresima e un agnusdei (agnello di Dio) all’ingresso della sua camera e, sopra l’uscio della casa, un orinale, affinchè chiunque avesse bisogno di cure potesse distinguere la casa del medico dalle altre.
Su un terrazzino aveva dipinto la battaglia dei topi e delle gatte, che era piaciuta molto al maestro.
Spesso, dopo aver cenato con lui, gli diceva che la notte precedente era stato con la brigata e , non desiderando troppo stare con la regina d’Inghilterra, si era fatto chiamare la gumedra del gran can d’Altarisi.
Il maestro chiedeva che voleva dire gumedra e precisava che non si intendeva di quei nomi.
E Bruno diceva che non si meravigliava affatto perché aveva sentito che a lui Porcograsso (Ippocrate) e Vannaccena (Avicenna) non dicevano nulla.
Il maestro lo correggeva “ Tu vuoi dire Ipocrasso e Avicena”. E Bruno rispondeva che non conosceva bene i nomi da lui usati e viceversa. Ad esempio nella lingua del gran can gumedra voleva dire imperatrice nella loro. E, sicuramente, quella bella donnaccia gli avrebbe fatto dimenticare medicine, rimedi e impiastri.
Una sera ,mentre reggeva il lume a Bruno che dipingeva la battaglia dei topi e delle gatte, il maestro gli disse che, avendogli parlato della brigata, gli aveva fatto nascere un così grande desiderio di far parte di essa, che non aveva mai tanto desiderato nessun’altra cosa. Voleva che andasse lì la più bella fanciulla che aveva visto l’anno prima a Cacavincigli, alla quale voleva un gran bene, e le voleva dare dieci monete d’argento, affinchè acconsentisse a stare con lui; ma lei non aveva accettato.
Lo pregava d’insegnargli che cosa doveva fare per poter far parte della brigata e di impegnarsi a inserirlo nella compagnia, perché sarebbe stato un compagno onorevole. Infatti era un bell’uomo, con gambe salde e un viso che pareva una rosa e, oltre a ciò, era un dottore in medicina , non ce ne era nessuno nella brigata, e sapeva raccontare storie e cantare canzonette e, per dimostrarlo, cominciò a cantare. Terminata la canzone, chiese a Bruno che gliene pareva. Bruno aveva una gran voglia di ridere, udendo il goffo canto.
Il maestro continuò con le sue vanterie dicendo che il padre era stato un gentiluomo, sebbene stesse in campagna, e per parte di madre proveniva da Vallecchio. Aveva libri ed altre cose più belle di ogni altro medico di Firenze. Aveva roba che era costata circa cento monete d’argento, da più di dieci anni.
Lo pregava, dunque, di farlo entrare nella brigata e gli prometteva che se si fosse ammalato l’avrebbe curato, senza chiedergli denaro.
Bruno, udendo ciò, pensò che fosse un lavaceci, stupidone, e ribattè che gli avrebbe risposto dopo aver dipinto le code dei topi.
Dipinte le code, fingendo che la richiesta gli pesasse molto, disse “ Maestro mio, so che fareste per me tutte le cose che mi avete detto. La cosa che mi chiedete, se a voi pare di poco conto, per me è grandissima ed io non la farei per nessuno al mondo. Ma l’amore che ho per voi, che mi parete saggio, e le vostre parole piene di senno mi inducono ad accontentarvi, anche se non posso fare tutte le cose che immaginate. Se mi credete vi darò il modo di ottenere ciò che desiderate, e sono sicuro che ci riuscirete, avendo bei libri ed altre cose , come mi avete detto”.
Il maestro garantì che avrebbe saputo mantenere il segreto e precisò che era stato l’uomo di fiducia di messer Gasparuolo da Saliceto, giudice del podestà di Forlimpopoli. Ed era stato il primo uomo a cui il giudice aveva detto che stava per sposare la Bergamina.
Bruno rispose che, se si era fidato Guasparuolo, si poteva fidare anch’egli. Gli spiegò che la loro brigata aveva sempre un capitano e due consiglieri che cambiavano ogni sei mesi. Senza dubbio il primo del mese successivo sarebbe diventato capitano Buffalmacco ed egli consigliere. Chi era capitano poteva mettere nella brigata chi volesse, perciò era opportuno che il medico diventasse amico di Buffalmacco e lo onorasse. Poi poteva chiedergli quello che desiderava, chè sicuramente Buffalmacco l’avrebbe accontentato.
Il maestro assicurò che avrebbe fatto tutto ciò che Bruno gli aveva consigliato ed avrebbe usato tutto il suo senno, che ne aveva tanto da poterne fornire a tutta la città.
Bruno riferì ogni cosa a Buffalmacco che non vedeva l’ora di fare ciò che il maestro chiedeva.
Il medico ,che desiderava oltremodo di andare in corso, divenne amico di Buffalmacco, cominciò a fargli delle belle cene e dei bei pranzi.
I due bricconi si divertivano un mondo e mangiavano ottimamente e bevevano ottimi vini, stando sempre a casa del maestro.
Dopo un po’ di tempo lo stupidone fece a Buffalmacco le richieste che aveva già fatto a Bruno. Al che il giovane si mostrò molto turbato e gridò molto contro Bruno che aveva riferito al maestro cose che dovevano rimanere segrete. Dopo molte discussioni si rappacificarono.
Buffalmacco, rivolto al maestro, disse “ Maestro mio, stando a Bologna avete imparato a mantenere i segreti , ed avete imparato ad insegnare l’abicì ai fanciulli, scrivendo le lettere non su una mela, come fanno gli sciocchi, ma su un melone, che è più lungo, e siete stato battezzato di domenica senza sale, se non sbaglio. Come Bruno mi ha detto, studiando medicina a Bologna, imparaste a conquistare gli uomini col vostro senno e le vostre novelle”.
Il medico, interrompendolo, si complimentò con lui perché aveva subito compreso ciò che voleva. Continuò dicendo che se Buffalmacco fosse stato con lui a Bologna, avrebbe visto che non c’era nessuno,né grande, né piccolo, né dottore, né studente, che non fosse stato soddisfatto del suo modo di ragionare e del suo senno.
Tutti si divertivano udendolo e, quando se ne partì, piangevano e non volevano lasciarlo andare. Volevano che egli solo facesse lezione agli studenti della facoltà di medicina. Ma era voluto ritornare a Firenze per le grandi ricchezze che la sua famiglia possedeva.
Bruno, rivolgendosi all’amico, disse “ Che te ne pare? Per il Vangelo, hai mai visto tu ,da qui a Parigi, uno che si intenda di orina d’asino più di costui? Devi fare oggi tutto ciò che ti chiede”.
Buffalmacco, fingendosi meravigliato per la grande sapienza del medico, garantì che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per farlo entrare nella loro brigata.
Dopo quella promessa il medico moltiplicò le attenzioni e gli onori verso i due che, divertendosi, gli facevano credere tutte le sciocchezze del mondo.
Gli promisero di dargli come donna la contessa di Civillari, che era la più bella donna che si trovasse in tutti i cacatoi del mondo.
Il maestro domandò chi fosse quella contessa e Buffalmacco gli rispose “Cetriolo mio da seme, ella è una gran donna, che ha il comando di molte case per il mondo e persino i frati minori, a suon di nacchere, la festeggiano.
Sta quasi sempre rinchiusa, ma l’altra notte passò davanti all’uscio per andare all’Arno a lavarsi i piedi e a prendere un po’ d’aria, però la sua dimora abituale è il Laterino. Lo sanno bene i suoi sergenti che vanno in giro ,portando la verga e il piombino. I suoi baroni si vedono in giro come il Tamagnin della Porta, don Meta, Manico di Scopa, lo Squacchera (tutte le forme di sterco che esce dal ventre), che sono vostri conoscenti e ora non ve li ricordate. Nelle braccia di questa grande donna vi metteremo,facendovi dimenticare quella di Cacavincigli”.
Il medico ,che era nato e cresciuto a Bologna, non conosceva il significato delle loro parole per cui fu contento della donna che i due gli volevano dare.
Poco dopo i pittori gli comunicarono che era stato accolto nella brigata.
Venuto il giorno la cui notte seguente si dovevano riunire, il maestro tenne i due a pranzo. Dopo pranzo chiese che atteggiamento doveva tenere nella brigata.
Buffalmacco gli disse che doveva essere molto sicuro di sé, altrimenti avrebbe recato loro molto danno.
Aggiunse che la sera seguente doveva andare in una di quelle tombe rialzate che erano state fatte poco tempo prima fuori Santa Maria Novella, con uno dei suoi abiti più belli, per sembrare importante e perché, dato che era un gentiluomo, la contessa lo nominasse cavaliere a sue spese.
Lì giunto ,doveva aspettare che arrivasse un uomo mandato da loro.
Lo informavano, inoltre, che sarebbe arrivata una bestia nera e cornuta, non molto grande, che avrebbe fatto un gran rumore e molti salti per spaventarlo, ma, vedendo che non si spaventava, si sarebbe calmata e si sarebbe accostata a lui. Allora egli doveva scendere dalla tomba senza paura e sistemarsi sopra la bestia, senza invocare Dio e i santi, e mettersi con le mani sul petto, senza toccare la bestia. Ella, allora, muovendosi dolcemente, l’avrebbe condotto da loro; ma precisarono che doveva stare molto attento a non chiamare Iddio e i santi e non doveva avere paura, altrimenti la bestia avrebbe potuto gettarlo da qualche parte o percuoterlo.
Infine gli raccomandarono di non andare se non si sentiva sicuro.
Il medico, ostentando una gran sicurezza, rispose che essi non sapevano che cosa aveva fatto di notte a Bologna, quando andava a femmine con i suoi compagni.
Giurò su Dio che una notte, poichè una non voleva andare con loro (eppure era secca e brutta, non più alta di un pollice), egli le aveva dato molti pugni, poi, presala in braccio, l’aveva portata per un bel tratto, finchè non si era convinta a seguirli. Si ricordava, ancora , un’altra volta in cui insieme ad un suo servitore, poco dopo l’Ave Maria, era passato a fianco del cimitero dei frati minori, dove , poco prima, era stata sotterrata una donna e non aveva avuto paura alcuna. Potevano star tranquilli, perché era fin troppo coraggioso.
Poi, per presentarsi onorevolmente, disse che avrebbe indossato lo scarlatto, che aveva indossato quando era diventato dottore,e, sicuramente, la brigata, quando l’avesse visto, l’avrebbe fatto al più presto capitano e anche la contessa si sarebbe innamorata di lui e l’avrebbe nominato cavaliere.
Buffalmacco gli raccomandò di non beffarli, di andare quella sera e di farsi trovare, perché faceva freddo e i medici si guardavano molto dal freddo.
Il medico lo rassicurò che non temeva il freddo e raramente indossava il suo pellicciotto sopra il gilet, perciò sarebbe sicuramente andato.
Dopo di ciò ,i tre si lasciarono.
Avvicinandosi la notte, il maestro trovò mille scuse con la moglie. Portati fuori di casa i suoi abiti migliori, al momento opportuno li indossò e se ne andò su una di quelle tombe. Si sistemò su uno di quei marmi e cominciò ad aspettare la bestia, pur facendo un gran freddo..
Buffalmacco, che era grande e grosso, si procurò una di quelle maschere che si usavano nel passato per le feste, che erano state poi vietate. Si mise indosso un pelliccione nero al rovescio, si sistemò in modo da sembrare un orso, se non fosse stato per la maschera del diavolo ,che aveva sul viso, e le corna.
Così combinato, con Bruno che lo seguiva per vedere come andasse a finire, se ne andò nella piazza nuova di Santa Maria Novella. Come si accorse che messer maestro era lì, cominciò a saltellare e a gridare all’impazzata, urlando e dibattendosi come un invasato.
Come il maestro lo vide, gli si drizzarono tutti i peli addosso e cominciò a tremare, più pauroso di una femmina.
Desiderò di essere davanti a casa sua. Pure ,visto che era lì e desiderava vedere tutte quelle meraviglie che i due birboni gli avevano raccontato, cercò di calmarsi.
Buffalmacco, dopo che ebbe imperversato per un po’ di tempo, si avvicinò alla tomba, sulla quale era il maestro, fingendo di calmarsi.
Il maestro, che tremava tutto di paura, non sapeva che fare, se salire sulla bestia o rimanere fermo. Poi, temendo che se non fosse salito, la bestia gli avrebbe fatto del male, vinse la paura e salì, sistemandosi per bene.
Poi, sempre tremando, mise le mani come gli era stato detto.
Allora Buffalmacco lentamente si diresse verso Santa Maria della Scala e , procedendo carpone, lo condusse fino al convento delle monache di Ripoli. In quella contrada, allora, c’erano delle fosse dove i contadini di quelle terre vuotavano la contessa di Civillari ( la merda) per concimare i loro campi.
Come Buffalmacco fu vicino, accostandosi ad una di esse, messa la mano sotto uno dei piedi del medico, con essa lo sollevò di dosso e lo spinse di netto, a testa in giù, nella fossa. Poi cominciò a ringhiare, a saltare e ad impazzare, andandosene lungo Santa Maria della Scala verso il prato di Ogni Santi, dove ritrovò Bruno, che era fuggito perché non poteva più trattenersi dalle risate.
Entrambi ,da lontano, si misero a vedere che cosa facesse il medico, tutto insozzato.
Il signor medico si sforzò di uscire da un posto così abominevole in tutti i modi, ricadendo qua e là.
Tutto sporco dalla testa ai piedi, sventurato, ingozzate alcune dracme , alla fine uscì fuori dalla fossa e vi lasciò il cappuccio. Con le mani, come meglio poteva, si tolse di dosso la maggior parte della schifezza e, non sapendo che altro fare, se ne tornò a casa sua e picchiò finchè non gli fu aperto.
La porta, poiché era così puzzolente, non si chiuse prima che Bruno e Buffalmacco non potessero sentire ciò che disse la moglie. La donna gli disse “ Ben ti sta, te ne volevi andare da un’altra donna e sembrare molto importante con lo scarlatto. Non ti bastavo io? Io che potevo soddisfare un intero paese ,non solo te. Volesse il cielo che ti avessero affogato, dopo averti gettato dove eri degno d’essere gettato. Ecco il medico onorato, avendo una moglie, andare in giro di notte a cercare le donne altrui”.
E la donna non smise di tormentare il pover’uomo, fino a mezzanotte, mentre egli si faceva lavare.
La mattina dopo, Bruno e Buffalmacco si presentarono a casa del medico pieni di lividure, come se avessero preso un sacco di botte. Lo trovarono già alzato e sentirono in tutta la casa un gran puzzo.
Il medico si fece incontro, augurando loro buon giorno, essi risposero con viso turbato e dissero che gli auguravano ogni male possibile perché quella notte ,per colpa sua, avevano preso un sacco di botte, come un asino che andasse a Roma, e avevano corso il rischio di essere cacciati dalla compagnia. Se non ci credeva poteva vedere le loro carni. Così dicendo ,si aprirono gli abiti davanti, mostrarono le pelle dipinta , e subito li richiusero.
Il medico non sapeva più come scusarsi e raccontava dove era stato gettato.
Buffalmacco allora gli disse che avrebbe voluto che fosse stato gettato dal ponte dell’Arno, perché aveva invocato Dio e i Santi.
Il medico rispose che non ricordava di averlo fatto , e, ancora, Buffalmacco aggiunse che il messo gli aveva detto che egli tremava come una foglia e non sapeva dove fosse. Dopo di ciò non lo avrebbero fatto entrare mai più nella brigata.
Il maestro cominciò a chiedere perdono e fece di tutto per riappacificarsi con loro.
Se prima li aveva onorati, poi li onorò ancora di più con banchetti e altre cose.
La narratrice concluse che ,come tutti avevano udito, si insegnava il senno a chi non l’aveva imparato a Bologna.
“Ve lo dirò, a patto che mi giuriate sulla croce del monastero di Montesone che non lo direte mai a nessuno”, testo di Boccaccio riportato nell’articolo, è una libera traduzione, invece il testo originale è quello che riporto in calce e NON parla di ‘monastero’ di Montesone ma di ‘Croce a Montesone’ perché il monastero delle monache di San Luca a Montisoni è altra cosa e si trovava più a valle della chiesa in località ancor oggi detta Monastero. Chi ha fatto le note al testo talvolta infatti ha finito per fare confusione.
“Io il vi dirò con questo patto, che voi per la Croce a Montesone mi giurerete che mai, come promesso avete, a niuno il direte. Il maestro affermò che non farebbe…”