La tragica morte di Giulia Cecchettin e le riflessioni, tanto aspre quanto condivisibili, della sorella Elena, stanno alimentando il dibattito su come fronteggiare il fenomeno dei femminicidi. Coinvolgere la scuola con lezioni sull’affettività è certamente un passo importante da fare rapidamente. Una “materia” che già da molti anni avrebbe dovuto far parte del bagaglio culturale che si offre ai giovani.
Il problema è che il patriarcato è ben radicato nella testa degli adulti, uomini e donne. Ci vorrebbero corsi di rieducazione per “genitori, nonni, zii, fratelli, amici (affettivamente) analfabeti”. Sarebbe necessario un maestro Manzi che spiegasse, in modo semplice e comprensibile, che la femmina non è una proprietà e che il maschio non è un proprietario. Che la femmina non è una preda e che il maschio non è un cacciatore.
Pensate a frasi tipo: “quello si è scopato metà classe”, che al femminile diventa: “quella se l’è scopata metà classe”. Nel primo caso si celebrano, compiaciuti, le doti amatorie di un novello don Giovanni (applausi); nel secondo, il tono è sempre di riprovazione per la giovane troietta (fischi). Tanto che il maschio lo si descrive attivo: è lui che sceglie e scopa… La femmina passiva: è stata scelta ed è stata scopata.
E’ questa la mentalità imperante che andrebbe inaridita fino a farla scomparire. Ma esiste davvero questa volontà al di là delle prese di posizione pubbliche?
“Non è mai troppo tardi” si chiamava la trasmissione tv del maestro Manzi. Speriamo che sia così, perché in clamoroso ritardo lo siamo sicuramente.