Io non sono razzista ma… è la frase che prelude ai peggiori luoghi comuni: i neri sono tutti spacciatori o stupratori, gli arabi fanatici o terroristi, quelli dell’Est Europa ladri o papponi. L’Italia è un paese razzista a sua insaputa. Negli anni Cinquanta/Sessanta si guardava con un’autocompiacente senso di superiore civiltà a ciò che accadeva negli Usa tra bianchi e neri. E ancor oggi la maggior parte degli italiani crede che i razzisti siano quelli con un cappuccio bianco in testa e una croce cristiana in mano (quella non manca mai) che in Alabama o Tennessee rincorrevano i negri per bruciarli vivi.
Noi eravamo i buoni. I tolleranti. Gli ospitali. Ci siamo crogiolati nella convinzione “italiani brava gente”. Facile, qui i negri non c’erano. In compenso i bisnonni e i trisnonni dei padani di oggi vedevano i meridionali, che salivano al Nord in cerca di lavoro, come il fumo negli occhi. Io non sono razzsta ma i terroni parlano in modo incomprensibile, rubano, non si lavano e puzzano – dicevano – Non gli affitto la casa perché nella vasca da bagno ci coltivano i pomodori. Oggi i “terroni” fanno comunella con i “polentoni”. L’importante è trovare un “nemico” sul quale scaricare insoddisfazioni, frustrazioni, invidie, fallimenti. Io non sono razzista ma…
“Indovina chi viene a cena?” è un grande film, datato 1967, che credo tutti abbiano visto. Oggi, a mezzo secolo di distanza, in Italia, mi pare ancora di scottante attualità.