Articolo di Sandra Baragli
Posti in piedi nella saletta da tè del Crc Antella, tanto il pubblico intervenuto all’iniziativa “Io mi ricordo…” organizzata dalle sezioni di Bagno a Ripoli di Spi/Cgil, Auser e Anpi, con il patrocinio del Comune, nell’ambito degli appuntamenti previsti in avvicinamento alla Giornata della Memoria, che come ogni anno sarà celebrata il 27 gennaio.
Agli interventi del segretario dello Spi di Bagno a Ripoli, Giorgio Monini, del sindaco Francesco Casini, di Giovanni Cipani dell’associazione “Per non dimenticare” e di Luigi Remaschi per Anpi sono seguite le letture da parte di due volontarie dell’Auser, delle testimonianze di quattro donne che hanno vissuto gli orrori della guerra e del nazifascismo sulla loro pelle.
Chi sono le nostre protagoniste?
Adria Marescialli, classe 1918, romana; Fernanda Cecchini, classe 1925, scandiccese; Roberta Pisa, classe 1936, fiorentina; e Maria Pisani, classe 1915 (tuttora in vita), nata in Egitto, che era a Napoli quando scoppiò il conflitto, poi arivata a Firenze per seguire il destino del padre recluso a Villa La Selva. Attraverso le loro storie ci hanno fatto capire quanto la guerra non faccia distinzione di ceto sociale, di credo religioso o di provenienza geografica, per infliggere le sue pene e quanto i regimi dittatoriali possano essere feroci con chiunque non si allinei ai loro dettami.
Adria, figlia di un antifascista che aveva combattuto la prima guerra mondiale, rimasto anche mutilato, rapportata alla società di oggi si potrebbe definire appartenente al ceto medio; Fernanda, figlia di contadini; Roberta, appartenente ad una benestante famiglia ebrea, padre avvocato e proprietario terriero, e Maria discendente da famiglie nobili, madre italiana e padre greco di origini veneziane.
Ad Adria, la guerra sconvolse la sua tranquilla vita di giovane sposina; a Fernanda la scheggia di una bomba portò via metà braccio e una mina si portò via suo padre cinquantottene. Roberta, ancora bambina, fu costretta dalla persecuzione razziale a fuggire da Compiobbi, dove abitava, fino alla Val di Nievole e poi a rifugiarsi con il fratellino dalle suore a Settignano ed infine in via della Cernaia dove attesero la fine dei combattimenti. Per Maria la persecuzione fu causata dalla cittadinanza greca del padre, che quando l’Italia dichiarò guerra alla Grecia, divenne un nemico e fu subito arrestato. Oltre che greco, il padre era noto anche per essere antifascista, di origini nobili e massone, tutti validi motivi, per il regime, per imprigionarlo. Roberta rammenta anche il suo delatore, un certo Bassi, che dopo la guerra venne picchiato dai compaesani. Purtroppo la figura del delatore era invogliata dal regime dalle laute ricompense elargite. Per la denuncia di un ebreo si riscuoteva fino a 5.000 lire!
In tutto questo orrore, anche sprazzi di umanità, che in certi contesti assumono un valore ancora maggiore. Adria è in ospedale, ricoverata per un’infezione ad una gamba, non può muoversi, è tutta ingessata, c’è un bombardamento in corso, l’ospedale viene evacuato, lei ovviamente non può fuggire. Suor Cesaria le rimane accanto, si butta sopra di lei per ripararla e nonostante Adria la supplichi di mettersi in salvo, resta perché ha un fratello al fronte e anche lei vuole fare la sua parte. Maria ha il padre a Villa La Selva in attesa di essere deportato in campo di sterminio. Serve un certificato medico che attesti la sana e robusta costituzione, il padre soffre di ulcera duodenale e il medico tedesco che deve redigerlo, la cui moglie ha stretto amicizia con Maria, scrive che è affetto da cancro allo stomaco. Questo gli salverà la vita, non sarà mai deportato e ritroverà la libertà dopo nove mesi.
Tutte, passata la guerra, riescono a ricomporre la loro vita andata in pezzi, tranne Roberta, che essendo ancora bambina ha avuto più difficoltà a superare il trauma.