Nell’indagine della Guardia di Finanza “Operazione Minerva”, di cui ieri si è avuto notizia, che ha scompaginato il gruppo vicino al clan dei Casalesi operante in Toscana, è coinvolto anche un imprenditore reidente a Bagno a Ripoli.
Si tratta di Luigi Diana, 42 anni, originario di Casapesenna in provincia di Caserta, nipote dell’omonimo Luigi Diana, detto Gigino ‘o diavolo, esponente di spicco del clan Zagaria. Lo stesso Diana è cugino di Garofalo, uno dei vivandieri del boss Zagaria ai tempi della latitanza. Dagli accertamenti su Luigi Diana, i finanzieri ha ricostruito una rete di cooperative ritenuta sotto il controllo dei Casalesi, e poi finita al centro dell’inchiesta.
Una curiosità: Luigi Diana, a cui il giudice ha vietato l’attività di impresa, compare nell’ “Elenco unificato dei giudici popolari di secondo grado” del Comune di Bagno a Ripoli. In pratica è uno dei cittadini da poter chiamare per comporre le giurie popolari dei processi.
Anche alcuni appalti finiti nel mirino dell’inchiesta della Finanza riguardano Bagno a Ripoli: in particolare la ristrutturazione della sede della Croce Rossa (completamente estranea alle indagini) in via Fratelli Orsi e alcune unità immobiliari.
I dettagli dell’Operazione Minerva
I militari del Comando Provinciale di Firenze e dello S.C.I.C.O. di Roma della Guardia di Finanza, alle prime luci dell’alba di mercoledì 20 gennaio 2021, nell’ambito di un’operazione coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze, hanno dato esecuzione a un provvedimento del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Firenze, Federico Zampaoli, che ha disposto 34 misure cautelari, di cui 4 in carcere, 6 ai domiciliari, 9 obblighi di dimora e 15 misure di interdizione personale con divieto di svolgimento di tutte le attività inerenti l’esercizio di imprese edili sequestro preventivo agli indagati di beni e disponibilità fino alla concorrenza di circa 8.300.000 euro.
I plurimi reati contestati sono l’associazione per delinquere (416 c.p.), il riciclaggio, l’autoriciclaggio e il reimpiego (art. 648 bis, 648 bis -1, 648 ter c.p.), l’intestazione fittizia di beni (512 bis c.p.), l’emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (2 e 8 D.lgs 74/2000), con l’aggravante di cui all’art 416 bis – 1 c.p., per aver favorito l’associazione camorristica clan dei “Casalesi”.
Oltre alle responsabilità penali delle persone fisiche, vengono contestati illeciti per fatti dipendenti da reato a 23 persone giuridiche, ai sensi dell’art 5 decreto legislativo 231/2001, che disciplina la responsabilità degli enti.
Le attività sono state eseguite nelle province di Firenze, Lucca, Pistoia, Treviso, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Roma, Isernia e Caserta, con la collaborazione dei Reparti del Corpo competenti per territorio e del R.O.A.N. di Napoli.
La complessa ed articolata attività di indagine, svolta dal G.I.C.O. del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Firenze con la collaborazione dello S.C.I.C.O. della Guardia di Finanza, fondata anche sulla sistematica ricostruzione dei movimenti bancari e finanziari, nonché su minuziosi accertamenti economico-patrimoniali, è stata diretta dalla Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo di Firenze – Procuratore Capo Dott. Giuseppe Creazzo e Sostituto Procuratore Dott. Giulio Monferini, che ha operato con il coordinamento della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e la collaborazione della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli.
Le indagini hanno tratto origine dallo sviluppo di informazioni su numerosi investimenti immobiliari e commerciali effettuati nel 2016 nella provincia di Siena da due commercialisti campani, affiancati, tra gli altri, da un architetto fiorentino, originario del casertano, ritenuti contigui ad ambienti di criminalità organizzata che facevano riferimento al clan dei “Casalesi”.
Gli approfondimenti e le investigazioni hanno permesso di rilevare che soggetti collegati al clan, attraverso molteplici società operanti nei settori immobiliari e commerciali, avevano reimpiegato ingenti disponibilità finanziarie di provenienza delittuosa in attività imprenditoriali ubicate anche sul territorio toscano.
Partendo dal flusso dei pagamenti relativi all’esecuzione dei lavori appaltati, le Fiamme Gialle hanno disvelato un complesso sistema di false fatturazioni posto a copertura di cospicui e continui bonifici in uscita dalle aziende di costruzione e disposti a vantaggio di società “cartiere”. I conti correnti di queste venivano poi svuotati attraverso un’organizzata squadra di “bancomattisti prelevatori”, persone prossime alla soglia della povertà e alcune delle quali beneficiarie di reddito di cittadinanza o di emergenza (misura introdotta a seguito dell’emergenza epidemiologica), remunerate dal sodalizio con commissioni pari al 2 – 3% delle somme monetizzate.
Nel dettaglio, è stato rilevato un sofisticato sistema fraudolento, fondato su diverse società, ritenute riconducibili agli indagati e formalmente gestite da prestanome, che hanno svolto diversi lavori edili sul territorio nazionale, operando perlopiù in subappalto. L’esecuzione dei lavori e la successiva fatturazione da parte dei committenti dava corso ad una prima serie di fatture per operazioni inesistenti a favore di società di comodo che attestavano falsamente la collaborazione nei lavori. L’ulteriore fase prevedeva altre fatturazioni per operazioni inesistenti a favore di altre “cartiere”, i cui amministratori, anch’essi meri prestanome, operavano il prelievo di contanti delle somme di denaro a titolo di pagamento di prestazioni in realtà mai rese. Dedotti i compensi ai prestanome, le somme prelevate finivano poi ai promotori dell’associazione a delinquere per essere successivamente riciclate attraverso investimenti immobiliari nelle province di Pistoia, Lucca, Modena, Roma, Isernia e Caserta.
Nel corso dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, alcune delle attività imprenditoriali coinvolte nel sistema fraudolento hanno anche chiesto ed ottenuto contributi a fondo perduto previsti dal “Decreto Rilancio” e finanziamenti garanti dallo Stato ex “Decreto Liquidità”.