“La morte di Ilyas ha lasciato un vuoto enorme”: a raccontare la storia del diciassettenne marocchino, colto da malore mercoledì scorso mentre nuotava alla piscina Costoli e morto ieri all’ospedale di Careggi, è la sua “famiglia”. Ilyas, infatti, dallo scorso dicembre era ospite della comunità per adolescenti “Le Tinaie”, gestita dalla Cooperativa sociale Gli Argini di Bagno a Ripoli, che ha sede in via di Castel Ruggero, a due passi dalla frazione di Capannuccia.
E’ in mezzo ad altri giovani come lui che Ilyas aveva recuperato la serenità dopo un vita di stenti e percosse. I responsabili della struttura ci tengono, attraverso QuiAntella, a far conoscere la storia di questo ragazzo che catturava i polpi in apnea ed è morto a causa di un malore in piscina.
La storia di Ilyas e della sua voglia di vivere
Abbandonato a sè stesso prima del tempo, Ilyas era partito a 13 anni dal Marocco. Aveva attraversato da solo l’Europa vivendo da vagabondo, attraversando la Spagna, la Francia e la Svizzera prima di arrivare in Italia a 17 anni.
Ma anche qui non si era fermato: con i suoi pochi indumenti ed il suo sacco a pelo era stato a Milano, a Napoli, a Genova e Pisa, prima di arrivare ad Orbetello dove qualcuno si era finalmente accorto di lui.
Ilyas era malconcio quando, nel dicembre del 2021, era finalmente approdato presso la comunità per adolescenti “Le Tinaie”, gestita dalla Cooperativa sociale Gli Argini di Bagno a Ripoli.
Le sue condizioni igieniche erano pessime, aveva una tosse profonda che preoccupava in quanto sembrava non guarire mai; ma, ancor peggio, presentava fratture al cranio e alla mano destra, chiari segni del fatto che era stato vittima di pestaggio.
Ilyas era stato raccolto per strada, come un gatto randagio. Non parlava italiano, ma fortunatamente riusciva ad esprimersi in spagnolo: tuttavia, nonostante il dolore che provava per le ossa rotte, non osava chiedere aiuto.
La Comunità lo aveva portato con urgenza al pronto soccorso ed in seguito era stato necessario accompagnarlo a numerosi controlli medici, prima che, dopo un lungo periodo di convalescenza, le sue condizioni di salute si stabilizzassero.
Ci si aspettava che non appena guarito, Ilyas sarebbe comunque scappato dalla struttura per riprendere la sua vita da vagabondo, come tanti ragazzi disperati fanno. Ma le cose non erano andate così.
Ilyas pareva aver trovato un luogo dove stava bene e dove sentiva di essere amato, così aveva ricominciato “a giocare”, proprio come un bambino, come avrebbe dovuto poter fare tanto tempo prima.
La sua assistente sociale, aveva capito quanto fosse importante riportargli la bicicletta di cui lui parlava spesso e che lui aveva allucchettato a Orbetello, custodendone in segreto le chiavi. Così un giorno era arrivata in struttura trasportandola nel bagagliaio. Da quella volta, non passava giorno che Ilyas non corresse per il giardino in bicicletta, con quel sorriso gioioso che solo i bambini hanno e che sprizza gioia di vivere.
Con la bici correva felice intorno all’edificio della comunità e si sbizzarriva in grandi frenate. Aveva trovato un luogo dove fermarsi, dove potersi permettere anche di compiere le sue “birbonate” da vagabondo, senza per questo venire allontanato o giudicato. Aveva addobbato la sua stanza con luci e colori e l’aveva personalizzata con i suoi disegni. “Ridi!” diceva Ilyas al suo compagno di stanza, inventando una rima tra questa parola e il suo nome. Era un ragazzo buono e semplice, amava il mare e le biciclette e frequentava un corso per imparare ad aggiustarle presso la ciclofficina Movimento Centrale Onlus di Firenze.
Nell’ultimo periodo, Ilyas aveva cominciato a raccontare di sé e delle sue origini. Parlava della vita che conduceva prima di lasciare il Marocco. Aiutava i pescatori a prendere i polipi in mare, andando in apnea in profondità.
E’ incredibile come proprio giocando in acqua, come faceva da bambino, ci ha salutati, lasciando operatori e ragazzi di fronte ad un enorme vuoto.
Una vita breve la sua, che insegna a tanti giovani come si può sempre riemergere dal dolore, dalla solitudine, riacquistare fiducia negli altri e riprendere a “pedalare” con gioia e speranza. Questo vogliono continuare a fare ragazzi e operatori della Comunità “Le Tinaie”, che avendo vissuto con lui, sentono nel profondo del loro cuore di essere stati contagiati dalla sua voglia di vivere e di apprezzare le cose semplici.
Io sono un ragazzo della comunità e il primo giorno che é arrivato ilias lo ho aiutato .io gli ho voluto tanto bene