Vent’anni parroco dell’Antella. Una vita. Osservatore privilegiato su come è cambiato il paese e la sua gente. A pochi giorni dal suo addio per trasferirsi alla parrocchia del Pignone a Firenze (terrà l’ultima messa domenica 18 settembre alle 17.30) don Giovanni si racconta a QuiAntella.
Come è stato accolto in paese il suo trasferimento?
Quando è venuta fori la notizia sono stato avvicinato anche da insospettabili, anche persone non troppo presenti in chiesa, che si dicevano dispiaciuti. Questo fa piacere e meraviglia.
Come affronta questo addio?
Con un po’ di pesantezza, di sofferenza d’animo. Ho il rammarico di lasciare persone con le quali sono nati legami di umana amicizia.
Fra questi c’è anche la sua perpetua.
Sandra è una donna esemplare, eccezionale, disponibile, capace di molte cose. La considero un po’ più di una Marta del Vangelo, la donna di casa. Sandra si è fatta valere non solo in cucina ma anche per l’accoglienza che ha avuto nei confronti di tutti e mi ha aiutato anche nell’amministrazione, la matematica non è mai stata la mia passione.
La lascerà in “eredità” al suo successore?
Dipenderà da lui se vuole o non vuole, sicuramente dovrà servirsene per un po’ di tempo per capire com’è e funziona la casa.
L’Antella è una comunità generosa?
Certissimamente sì. E’ gente abituata alla generosità, anche da don Renato che mi ha preceduto. Lui è stato un antesignano nell’accogliere gli stranieri, ha ospitato tante persone. Però quando ci si mette persone in casa si scopre anche che non tutti sono rispettosi.
La crisi ha pesato sul gettito delle offerte?
Sì, molto, ma non solo. Sono calate quelle abituali di chi viene in chiesa e chiede di celebrare una messa. E’ diminuito il senso della fede e anche la richiesta di messe per i defunti, prima molto sentita, un po’ come la sepoltura al cimitero. Grande segno di civiltà il culto dei defunti ma anche questo è venuto assai meno. Cremazione e dispersione delle ceneri sono un segno di declino di civiltà. All’Antella, grazie al bel cimitero monumentale, era punto di onore acquistare un posto per i propri cari. Anche l’aiuto della Misericordia prima era più sostanzioso. Ora 4 su 10 scelgono la cremazione, acquistano un posto più piccolo al cimitero per mettere l’urna; questo significa meno introiti per la Misericordia che è stata costretta a diminuire il contributo preferendo giustamente, di dare la priorità alla salvaguardia del posto di lavoro dei suoi dipendenti. Prima la giustizia, poi la carità.
Come è cambiata in questi ultimi venti anni la comunità del’Antella?
Un tempo si sarebbe detto un po’ imborghesita, resa più cittadina. Ha influito la scomparsa di tanti antellesi di nascita, in 20 anni ho celebrato oltre 1.500 funerali. Sono venuti a mancare quelli doc, con la memoria storica del paese e grande senso di comunità. Sono arrivate famiglie nuove dalla città. Non tanto nel centro abitato ma sulle colline il senso del paese ormai è poco.
Cosa lascia all’Antella?
Penso di lasciare involontariamente memoria storica all’Antella per due cose. La prima è il raddoppio della scuola, passata da 150 a 300 bambini, che nonostante la crisi economica gode della stima di tanti che vengono anche fuori da Antella per il livello di insegnamento e la qualità dei servizi. Per migliorare la scuola ho affrontato notevoli costi sfidando la provvidenza o, meglio, affidandomi alla provvidenza.
La seconda cosa?
La valorizzazione della figura di San Manetto dell’Antella, uno dei sette santi fondatori dell’ordine della beata Vergine Maria, del quale in paese non c’era niente. In chiesa c’è un dipinto di Lorenzo Lippi, la Madonna che dona l’abito ai Sette santi fondatori, e fu don Renato a dirmi che uno dei sette era San Manetto. Mi appassionai della cosa. Feci ricerche e scoprii che il suo stemma è uguale a quello che c’è sulla chiesa con lo stemma dei dell’Antella. Non è certo che sia nato qui, ma certi sono i legami con l’Antella. Spronai il governatore della Misericordia e nell’anno santo 2000 il cardinale Piovanelli venne a inaugurare il nuovo oratorio della Misericordia intitolato a San Manetto. Ricordo anche un’altra esigenza molto richiesta a cui la Misericordia ha dato risposta: la costruzione delle cappelle del commiato.
Nei peccati che lei raccoglie in confessione, l’Antella è cambiata?
No, ma è cambiata la sensibilità delle persone. Si è andato perdendo il senso del peccato specie fra i giovani. Si confessano prevalentemente gli anziani che confermano un modo atavico di farlo. Anche se ormai la confessione è più un momento di confidenza e anche di sfogo. I giovani sono più refrattari a riconoscere come peccati cose che lo erano un tempo.
La sua “specialità”?
Mi dicono che so celebrare bene i funerali. Lo reputo un momento importante per la consolazione, il conforto, la speranza, la vicinanza, la solidarietà verso chi è in un momento di grande afflizione.
Il rapporto con la politica?
Vent’anni fa in paese c’era una divisione abbastanza netta. Don Renato era un po’ alla don Camillo. Quando arrivai, il 7 dicembre 1996, presente il cardinale Piovanelli, mi fecero festa e rinfresco al circolo Mcl. Al termine, ancora in tonaca, andai a prendere il caffè al Crc. Mi presentai come nuovo parroco e salutai tutti. La mattina dopo girava voce: è arrivato un prete comunista. Ricordo che la prima persona che mi venne a salutare, non lo posso dimenticare, fu Silvano Silei, allora responsabile del Crc, questo mi colpì molto. Che io sappia, fui il primo a fare una cena in piazza condivisa con più di 300 persone, organizzata tutti insieme. E fu molto apprezzato.
Un consiglio a don Moreno.
Viene, come me, da un’esperienza di città. A Sant’Ambrogio se salutavo uno che non conoscevo venivo guardato come a dire: che vuole? Qui l’aria è diversa. Mi è passato accanto e non mi ha salutato, mi rimproveravano i primi tempi. Gli consiglio di avere un sorriso per tutti e un saluto verso tutti, anche i cani. E la disponibilità a venire incontro il più possibile alle richieste e alle esigenze dei parrocchiani. Mantenere un clima di famiglia per cui ci si viene incontro.
C’è qualcosa che avrebbe voluto fare ma non ci è riuscito?
Sì, c’è e mi amareggia. Avrei voluto visitare di più i malati. Mi sono un po’ impigrito su questo.
In cosa è stato anticonformista?
Ho valorizzato molto il servizio dei ministri straordinari dell’eucarestia, concedendolo a molte donne, meravigliando varie persone, anche dei confratelli, perché originariamente era considerato un servizio di uomini. Io mi sono sempre circondato… come don Giovanni (sorride sornione all’auto battuta ndr) anche intorno all’altare di donne. Don Moreno è un po’ più ortodosso. Mi chiese: hai le chierichette? Sì a volte. Qualcuno mi dette addosso perché il giovedì santo lavavo i piedi indifferentemente ai bambini e alle bambine.
Ma anche nella fede… viola.
In effetti ho suonato le campane della chiesa per qualche particolare successo della Fiorentina: la prima volta fu per la vittoria della Coppa Italia nel 2001. Ma anche in occasione della promozione in serie A dopo lo spareggio col Perugia e nell’ottobre del 2013 per sottolineare il travolgente 4-2 in rimonta sulla Juventus. Non tutti hanno gradito. Ho suonato le campane anche per la promozione dell’Antella e ho tenuto per un mese la bandiera sul campanile, giocando sull’equivoco: bianco e celeste sono i colori della Madonna.
Lei non è come don Camillo. Ma c’è in chiesa una statua o un quadro con cui parla o si confida?
Sono molto eucaristico. Quando confesso e quando prego mi viene spontaneo mettermi davanti al tabernacolo che non davanti al Madonnone, pur avendo fortissima devozione a Maria se non altro per i 14 anni di servizio all’Unitalsi con i pellegrinaggi a Lourdes e Loreto.