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Una foto con la solare vicesindaca Ilaria Belli è il modo per movimentare un po’ la giornata. I dieci nigeriani ospitati dal Comune di Bagno a Ripoli combattono con l’ozio. Vorrebbero darsi da fare in qualche modo, ma non è semplice poterli impiegare anche in lavori socialmente utili. Il Comune sta contattando enti e associazioni: occorre una richiesta e un progetto specifico per poter procedere. Intanto i migranti, arrivati a Grassina da circa un mese e mezzo, stanno apprezzando l’ospitalità del paese. Siamo andati a conoscerli. “Sono tutti molto gentili con noi, ci hanno accolto bene, ci troviamo bene qui”, dicono. Sono dieci: Festus, Michael, Joy, Precius, Joseph, Samuel, Victor, David, Ovuon, Brets. Hanno tra i 20 e i 30 anni. Sono arrivati in Italia partendo dalle coste libiche e sbarcando a Siracusa.
La loro speranza è di restare in Europa e trovare un lavoro, magari quello che facevano in Nigeria. C’è il muratore, il contadino, il camionista, il saldatore, il parrucchiere, l’addetto alla reception. C’è anche uno studente. Si esprimono in un inglese gutturale non facile (almeno per me) da comprendere. E alle domande tendono a rispondere tutti insieme creando una piccola babele. Dove manca il vocabolo, interviene il linguaggio, universale, dei gesti. Gesticolare non è un problema, anzi. In attesa di iniziare un corso di italiano, stanno imparando i primi vocaboli di quella che potrebbe essere la loro nuova lingua. “Buongiorno signore”, azzarda uno. Bravo, qualche altro vocabolo? “Tutto bene”, fa un altro. “Piano piano”, aggiunge un terzo. Ottimismo e calma: serviranno entrambe. Combattono la noia delle giornate pulendo i due appartamenti di via Costa al Rosso, dove sono ospitati (sulla parete è appeso il foglio con i turni), cercando una connessione wi fi per collegare i cellulari (con cui fotografano in continuazione) a internet e cercare notizie della loro patria e cucinando. A parte aver preso confidenza con gli spaghetti, si preparano quella che chiamano african soup (farina, pollo, pesce, cipolla, peperoncino e un po’ di dado). Grazie ad un volantino appiccicato sulla parete dell’appartamento, seguono scrupolosamente la raccolta differenziata. E’ bene imparare subito i comportamenti virtuosi.
Non hanno lasciato grandi legami in Nigeria. Qualcuno ha la madre, nessuno una moglie. C’è chi sogna di trovarla e sposarla qui. E specifica puntando l’indice verso terra: “Grassina, marriage here”. Un altro si offre come calciatore. “Gioco centrocampista”. Hai i piedi buoni? “Sì, molto”, risponde senza falsa modestia. Magari una squadra amatori potrebbe provarlo. Il processo di integrazione può passare anche da un pallone. O da un gioco. Ho visto su un tavolo un foglio di carta con disegnata una scacchiera. Di carta anche i dischetti per fare le pedine della dama. Si arrangiano come possono. Più difficile realizzare gli scacchi. Magari c’è qualcuno che ne ha di vecchi e inutilizzati e potrebbe donarglieli. Gran finale con la foto di gruppo. Lancio l’invito: like a soccer team, e in un attimo sono tutti in posa. E non c’è bisogno di pronunciare “cheese” per ottenere un sorriso.